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mercoledì 7 settembre 2011

IN FONDO AL TUNNEL, UNA LUCE AZZURRA

In una fase storica così delicata, diciamo pure critica, per il calcio italiano, è bello scoprire di potersi riaggrappare alla maglia azzurra. E' bello ritrovare, nella Nazionale, il simbolo più pulito e, vivaddio, vincente di un movimento che ha un disperato bisogno di risanarsi, ristrutturarsi, modernizzarsi, recuperare competitività e credibilità a livello internazionale. 
AZZURRI IN UN CANTUCCIO - Il nostro football, più che in altri Paesi, ha da tempo imboccato la via più biecamente commerciale, privilegiando l'attività di club con tutti gli introiti che essa è in grado di garantire (salvo, poi, ritrovarsi in rosso continuo, per non saper sfruttare le nuove fonti di guadagno offerte dal calcio del Duemila, non ultima il merchandising: ma questo è un altro discorso). La Nazionale viene da tempo vissuta più che altro come un fastidio, un intervallo noioso e mal sopportato fra una giornata di campionato e un turno di Champions. Ma quelle maglie color cielo, con la loro storia, la loro magia, le leggendarie imprese che hanno saputo realizzare, i valori autentici che da centouno anni portano in giro per il mondo, sanno sempre prendersi la rivincita. 
Lo scempio sudafricano sembrava destinato, nella generalità delle previsioni, ad aprire una lunga fase di grigiore per la nostra rappresentativa, seguendo a ruota il crollo di tutto il nostro carrozzone calcistico. 
E invece no: fra mille difficoltà e scetticismo quasi unanime, mister Cesare Prandelli si è messo di buzzo buono, ha lavorato con pazienza certosina sul materiale umano a disposizione (che non è eccezionale, ma nemmeno così scadente come viene dipinto da tantissimi, sia addetti ai lavori, sia, ed è la cosa più grave, tifosi, che pare godano nel dipingere il nostro football come uno dei peggiori del mondo), et voilà, in poco più di dodici mesi ci ha restituito una squadra decorosa e, cosa ancor più importante, una qualificazione europea conquistata con due turni d'anticipo. 
IL CAMMINO DI UN ANNO - Quelli di cui sopra, quelli che sminuiscono per professione, diranno che il girone non era granché. Sarà: c'era di peggio, ma Serbia, Slovenia e Irlanda del Nord non sono clienti comodi per quasi nessuno, senza contare che, al di là della diversa caratura tecnica delle tre, si tratta proprio del tipo di squadre che, agonisticamente e tatticamente, riesce maggiormente indigesto alla nostra Nazionale. 
Prandelli ha innovato dove poteva, lanciando con decisione tutti i giovani pronti a simili ribalte; ha dato fiducia a gente ignorata (Balzaretti) o sottoutilizzata (Maggio, Cassani, Pazzini) dall'illustre predecessore; ha ricaricato alcuni reduci del Mondiale che, in Sudafrica, erano parsi talmente brutti da non sembrare nemmeno calciatori di Serie A (Marchisio). Ha puntato con decisione sull'unico oriundo plausibile, Motta, dopo gli esperimenti abortiti di Amauri (inadatto a giocare in qualsiasi Nazionale di alto livello) e Ledesma (che forse è capitato nel momento peggiore, con la squadra ancora priva di una identità tattica). 
Certo, ha anche commesso degli errori: come quando, per la non - partita di Genova coi serbi, pensò bene di ripescare uno Zambrotta che ormai alla causa azzurra non poteva più dare granché; o come quando ha deciso, all'inizio del mandato, di fare di Cassano uno dei cardini del suo progetto di ricostruzione, quando è evidente, dimostrato dalla storia e dalla cronaca (vedasi partita di questa sera) che il pugliese non è assolutamente in grado di essere risolutivo, in campo internazionale, quando il livello degli avversari si alza. Ma rimane il grande merito di aver ridato un volto dignitoso a una squadra rasa al suolo. 
Si può dire che questa nuova Nazionale abbia cominciato a prendere forma a Dortmund, in febbraio. Quel pareggio con la Germania ha dato convinzione e fiducia in quantità, ma ha anche fatto capire al mondo che il gruppo così scarso non era.  Da allora, una confortante continuità di rendimento su livelli medio - alti, con alcuni sprazzi di gioco veramente notevoli (come nell'amichevole di Bari con la Spagna) e poche autentiche cadute di tono (con l'Eire in giugno, poco significativa amichevole di fine stagione, e con le Far Oer alcuni giorni fa). 
IL MATCH CON LA SLOVENIA - Questa sera, in una Firenze che alla fine è riuscita a portare allo stadio circa 20mila persone (meglio che niente, coi tempi che corrono), la conferma di un trend moderatamente positivo, quello di una compagine che sa superare immediatamente i momenti difficili e aggiungere qualcosina in più ad ogni uscita. La prova è stata più che sufficiente: mancano sovente continuità nell'azione,  ritmo e rapidità a sostenere la manovra di una squadra che troppo spesso si perde in una ragnatela di inconcludenti passaggi. Ma alla fine le palle gol arrivano: ne ha avute parecchie sui piedi un De Rossi su livelli di rendimento che dovrebbero confortare i tifosi della Roma: onnipresente in campo, non ha saputo sfruttare due sontuosi assist di Montolivo, il secondo a pochi centimetri dalla porta. Già, Montolivo: pure a lui manca la continuità, ma la sensazione è che si stia calando nella parte con una personalità via via più in rilievo, e che senta questa Nazionale sempre più sua (oltre agli assist, rapide verticalizzazioni a sveltire l'azione, da segnalare un colpo di testa con palla di poco a lato nella prima frazione). 
 Rossi il solito furetto, ma al solito troppe volte impreciso nelle conclusioni: un diagonale a lato nel primo tempo, una gran botta al volo da distanza ravvicinata alta di poco nel secondo, dopo che ancora De Rossi, in mischia sotto porta, aveva mancato altre due opportunità. Pochi lampi di Cassano (un insidioso tiro da lontano nel finale di primo tempo), come detto, mentre Pazzini ha fatto il suo dovere, segnando un gol da grande opportunista (rimpallo favorevole sfruttato e botta fulminea nel sette) e Balotelli ha mostrato finalmente voglia e cuore, sfiorando nel finale, con un gran destro dalla distanza, un gol che avrebbe meritato. 
Si è sofferto un po' dietro, perché la Slovenia ha qualità, sa difendersi e sfruttare i varchi che le si aprono davanti: una serie di conclusioni dalla distanza respinte da Buffon, pericolose quelle di Koren e Kirm, e un contropiede che, a metà ripresa, poteva avere conseguenze devastanti, se Ilicic, al momento di involarsi solitario verso il nostro portierone, non avesse ciccato malamente il pallone. In terza linea, Ranocchia sempre più disinvolto, classe e tempismo negli interventi con la giusta durezza,  Balzaretti a tratti devastante nelle sue discese (come anche all'andata), Cassani più "trattenuto" ma sempre propositivo. 
Insomma, l'Azzurra c'è, è migliorabile ma viva e vitale, e noi le affidiamo con piacere il compito di ridare dignità a un calcio malato e in crisi di immagine. 
CARLO CALABRO'

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