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mercoledì 15 febbraio 2012

SANREMO 2012: PRIMA SERATA, FESTIVAL SPECCHIO DI UN'ITALIA IN CRISI

Verrebbe persino da pensar male. Di fronte a uno scenario del genere, sorge quasi il sospetto che tutto sia stato studiato a tavolino, passo dopo passo, colpo di scena dopo colpo di scena, o meglio, infortunio dopo infortunio. Non si dice forse da sempre che Sanremo è lo specchio del Paese? E il Paese non sta forse attraversando la più grave crisi del dopoguerra, e una delle più gravi in assoluto della sua storia? Bene (anzi, male). Et voilà un Festival ritagliato su misura per l'Italia di oggi. E siccome l'Italia di oggi è una interminabile sequenza di cose che non vanno, per vuoto culturale, impreparazione e inadeguatezza delle persone e conseguenze di errori e omissioni commessi nel passato, la kermesse rivierasca non può che adeguarsi. Un senso di assoluta precarietà (e già, il Paese dei precari) ha aleggiato su tutta la serata inaugurale dal primo all'ultimo minuto. Quando anche una macchina perfetta, in cui tutto, anch gli imprevisti, dovrebbe essere calcolato al millesimo, con margine d'errore dello 0,001, si inceppa in maniera così evidente, beh, non si può che accettare il tutto con la rassegnazione di chi, in fondo, sapeva che era lecito aspettarselo.
QUANTI GUAI! - Quando la struttura è debole, certo, ci si mette anche la sfortuna: non in altro modo si può classificare il forfait dell'ultima ora di Ivana Mrazova, primo caso di presentatore, co-conduttore o valletta sanremese a dover rinunciare al palco in extremis per motivi di salute. Di jella invece non si può parlare per tutto il resto: i problemi di audio che hanno accompagnato diverse fasi dello spettacolo (particolarmente evidenti nel momento di stacco fra la fine delle canzioni e gli applausi in sala), i tempi sbagliati dei presentatori nel lancio degli spot e delle telepromozioni, e soprattutto, la colossale magra finale, la cancellazione della prima fase della gara per il malfunzionamento del sistema elettronico alla base del lavoro delle giurie: erano previste due eliminazioni, invece domani sera i Big saranno di nuovo tutti in scena, e questo è l'unico aspetto positivo della questione, perché per i cantanti in competizione anche un solo passaggio televisivo in più è fondamentale e bene accetto, e contribuirà a rendere più soft il dispiacere per chi dovrà uscire di scena. Rimane però un retrogusto amaro fatto di improvvisazione, impreparazione, inadeguatezza: incredibile davvero che non ci fosse un'adeguata procedura di emergenza per ovviare a eventuali défaillance nello svolgimento delle votazioni. 
L'inadeguatezza ha riguardato anche un altro aspetto, quello del buon gusto, visto il ricorso davvero troppo massiccio al turpiloquio: non sono un purista né un bacchettone, so bene che certi termini sono entrati ormai nel linguaggio comune, ma penso che comunque non se ne debba abusare, specialmente in certe occasioni "ufficiali" e mondane, in cui la tv (la tv pubblica, la "principlae agenzia culturale del Paese"!)  si apre a una platea immensa, fatta anche di bambini e ragazzini. Insomma, sentire Morandi gridare "che cazzo è" al momento dell'entrata in scena di Celentano ce lo saremmo volentieri risparmiato.
Certo, era il debutto, col trascorrere dei giorni tutto migliorerà (e ci mancherebbe altro) e magari tornerà anche Ivana (non son stato tenero con lei, ma mi auguro sinceramente di vederla sul palco per il rush finale di questo Festival), ma dall'evento televisivo dell'anno, da questo carrozzone elefantiaco eppure sempre a pieno regime, a parte piccole sbavature, ci si attende ben altro.
LA CRUDA REALTA' NELLE CANZONI - Festival dell'Italia della crisi, dicevamo, e  tale atmosfera cupa aleggia anche, vistosamente, sulla gara. Non ricordo una così massiccia frequentazione di argomenti di attualità nei testi dei brani dei Big: Emma e Dolcenera lo fanno con toni accorati e financo drammatici, Bersani con disincanto e anche con una complessità poetica che in passato gli ha spesso precluso l'accesso alla grande massa degli appassionati. Una cosa del genere, in così larga misura, avvvenne forse solo nel 1992 (Italia d'oro, Mendicante, La forza della vita e altre canzoni ancora contenevano tutte richiami più o meno estesi ai problemi di un'altra fase storica non facile per la nazione). Questo sguardo alla vita reale non può che farmi piacere, e del resto mi sarei stupito del contrario: ciò che stiamo vivendo, e lo dico per esperienza diretta, è troppo grande, troppo pesante, troppo devastante per non lasciare il segno, e, lo si ammetta o no, gli artisti hanno la sensibilità per percepire questo malessere (eufemismo). E' comunque un progresso, se penso che il pur stimatissimo Baudo, dopo aver scelto le canzoni per il Festival del 2002, affermò: "Mi sono arrivati brani sulle Twin Towers, ma ho fatto finta di non sentirli" (fonte: Archivio storico on line Corriere della sera). Magari saranno stati anche brutti, quei brani, ma era il concetto di rifuto di ogni accenno ai fatti della cronaca e della storia ad essere sbagliato. Da questo punto di vista, progressi ne sono stati fatti.
ORECCHIABILITA' e GUSTO RETRO' - Sul piano della proposta musicale, mi pare ci sia un cambio di tendenza rispetto alla passata edizione, che aveva puntato su composizioni un tantino più sofisticate ed elaborate, ovviamente con le dovute eccezioni. Questa volta, la direzione artistica sembra essersi maggiormente orientata verso l'easy listening, il che peraltro non significa, come abbiamo visto, rinuncia all'impegno. Persino l'attesa Chiara Civello, che avrebbe dovuto portare all'Ariston le soffuse atmosfere jazz in cui  eccelle, si è votata a un pop oltretutto non proprio modernissimo.
A proposito di modernità, ci sono stati altri brani apparsi leggermente "demodé". Quelli di Finardi e della coppia D'Alessio - Bertè, ad esempio, potevano essere tranquillamente presentati a un Sanremo di dieci o quindici anni fa, e quello di Arisa avrebbe fatto la felicità di Baudo a metà anni Novanta. I Matia Bazar sono fermi al 2002, anno della loro ultima vittoria, pur con qualche trovata sonora più contemporanea. Tutto questo non implica un giudizio complessivamente negativo dei pezzi citati, ma è solo una constatazione sulla struttura artistica delle composizioni. Per voti e pagelle sulla qualità delle canzoni rimando ai prossimi giorni, un solo ascolto è davvero troppo poco: posso dire che personalmente, al primissimo impatto, mi han colpito soprattutto Dolcenera, Emma, Noemi e il duo Carone - Dalla, ma è tutto relativo e già in seconda battuta si potrà essere più precisi.
CELENTANO - Due parole su Celentano, ché già ne parlerà abbondantemente la stampa tutta: ha cantato, e tanto, e questo è stato un apporto artistico importante e funzionale al Festival in quanto "rassegna di canzoni". Sul resto, si può dire tutto e il contrario di tutto: ognuno è libero di esprimere le sue opinioni (anche se si può evitare di farlo, ad esempio, attraverso una discutibile e scombiccherata messinscena con Pupo e Morandi, anch'essa penalizzata inizialmente da un pessimo audio), ma rimango del parere che Sanremo non sia il luogo televisivo adatto per fare tutto ciò. Diciamo che da appassionato di musica e cultore del Festival nella sua forma più genuina, rimpiango amarissimamente i tempi in cui la kermesse rivierasca non aveva bisogno di certe "sovrastrutture spettacolari" come la performance del Molleggiato per attirare attenzione e audience, ma con una mentalità "più realista del re" non posso che prendere atto del fatto che un evento del genere, certo destinato a far parlare assai a lungo, è un qualcosa che contribuirà a fare la storia del Festivalone e gli garantirà solidità e salute per tanti anni ancora. La televisione del 2012 funziona così, bellezza, è inutile.
A proposito di sovrastrutture spettacolari, certo meno chiassosa ma, a parer mio, tremendamente più efficace è stata l'ouverture di Luca e Paolo. Semplice ma ben riuscita l'idea: proiettare in un televisore sul palco la performance dell'anno passato ("Ti sputtanerò", sul caso Fini e più in generale sulla situazione politica e giudiziaria dell'epoca) e riflettere ironicamente su come a distanza di 12 mesi le cose siano cambiate, e per la satira sicuramente in peggio, essendo venute meno le principali fonti di ispirazione (Berlusconi e compagnia) ed essendosi creato un clima nel Paese che rende tutti poco inclini allo scherzo e al divertimento. L'Italia della crisi, per l'appunto.

1 commento:

  1. bellissimo post Carlo! Ho letto con attenzione. Io ho appena pubblicato qualcosa al riguardo sul mio blog e quindi non mi ripeto qui. La sensazione è che l'edizione dell'anno scorso fosse più riuscita. A presto

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