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lunedì 23 aprile 2012

DOPO I FATTI DI GENOA - SIENA: IL PROBLEMA E' DAVVERO LA SACRALITA' DELLA MAGLIA? E QUEL DERBY ROMANO DEL 2004...


Non cambieranno mai. Chiusi nel loro castello di populismo e demagogia, forti coi deboli e deboli coi forti. Non cambieranno mai, gli alti papaveri dell'italico calcio, dirigenti, grandi giornalisti e illustri opinionisti. Già con i fucili caricati a pallettoni, pronti a rovesciar parole (perché solo quello sanno produrre: parole, mai fatti) sullo "scandalo" e la "vergogna" di Marassi. Genoa sotto attacco, fin troppo facile infierire su chi è a terra già ferito.
Vediamo di intenderci: nessuna giustificazione, nessun alibi agli pseudotifosi rossoblù per quanto accaduto ieri, poco dopo l'inizio del secondo tempo della sfida fra lo spellacchiatissimo Grifone e il Siena. Ma i proclami inorriditi degli Abete, dei Petrucci e dei tanti corifei d'occasione hanno il sapore amaro e insopportabile delle lacrime di coccodrillo. Un patetico stracciarsi le vesti e minacciare provvedimenti esemplari per un problema che, in anni e anni di reggenza, mai hanno saputo arginare sul serio (dimissioni, queste sconosciute...): la violenza e lo strapotere condizionante degli ultras non nascono a Genova il 22 aprile del 2012, da tempo immemore il sistema calcio tollera i facinorosi, li subisce quasi passivamente, ne ha accettato la contiguità con la sua parte più sana, senza aver mai partorito un metodo efficace per neutralizzare questa feccia (a parte la Tessera del tifoso, sulla quale nulla si può dire, se non stendere il classico velo pietoso). 
LACRIME DI COCCODRILLO - Si svegliano ora e vengono a farci il predicozzo, con la faccia truce già vista dopo eventi che sono stati, quelli sì, autenticamente tragici, tipo il drammatico Catania - Palermo del 2007.  Straparlano di "cose mai viste prima su un campo di calcio italiano": dimenticano il derby Roma - Lazio sospeso dai tifosi nel marzo del 2004, con corollario di scontri e incidenti fuori dall'impianto; insomma,  cosette che, al confronto, quanto accaduto ieri è stato roba da educande: non ricordo, all'epoca, alzate di scudi di questa virulenza, per un evento che aveva creato un precedente gravissimo e che aveva segnato un salto di qualità decisivo riguardo alla pressione, all'influenza, al potere effettivo che certe frange di tifo violento e organizzato possono esercitare sui club e quindi, per la proprietà transitiva, su tutta la mastodontica eppur fragile struttura del calcio italiano. Cosa accadde, allora? Certo, ci furono polemiche, ma nulla di trascendentale: si arrivò addirittura a recuperare la partita facendola disputare ugualmente allo stadio Olimpico, ma del resto, si sa, Roma è la città di quelle allegre e divertenti "puncicature" (la definizione fu di un celebre dirigente delle forze dell'ordine: nel mondo civile si chiamano coltellate) pre e post partita che fanno tanto colore e tanto folklore nella nostra pittoresca capitale.

                                  Un'immagine dal famigerato derby di Roma del 2004

LA SACRALITA' DELLA MAGLIA - Cosa ha fatto saltare la mosca al naso ai nostri illuminati dirigenti? I giocatori del Genoa indotti a svestirsi della maglia rossoblù, perché ritenuti indegni. Un rituale inaccettabile, dicono. Ma come? Proprio loro che combattono (giustissimamente, sono al loro fianco in questa battaglia) i simbolismi retrivi e medievali  sui quali i gruppi ultras hanno costruito gran parte della loro forza di malefica suggestione, attribuiscono tutta questa spropositata importanza a un gesto grossolano, deprecabile, ma il cui significato morale ha senso e valore autentico solo per le menti semplici di questi professionisti del tifo? Oltretutto in un Paese che per anni ha permesso ad alti esponenti politici di offendere ripetutamente l'unico vero simbolo, la bandiera italiana, senza che nessuno abbia alzato un dito per metterli in condizioni di non nuocere? 
Ripeto: da parte mia, nessuna intenzione di minimizzare. Mi pare però che si stia perdendo il senso delle proporzioni. Cos'è stato il brutto dell'amaro pomeriggio di Marassi? I giocatori indotti a... svestirsi dei colori sociali in quanto non all'altezza della situazione? Mah: oltretutto a caldo, forse sbagliando, mi è venuto di considerarla come una forma di protesta persino nuova, spiazzante, insolita e originale, anche se del tutto intempestiva e sbagliata nelle modalità: perché molti di questi giocatori, la maglia del Genoa davvero non l'hanno onorata, mai, e anche da parte mia sarebbe auspicabile che quanto prima la mettessero nel cassetto e andassero a indossarne qualcun'altra. E tuttavia, una tale protesta avrebbe avuto più senso, valore e impatto se attuata in maniera simbolica, ossia con un semplice invito a togliersela, la casacca, senza andare oltre. E comunque una protesta del genere, purché, come detto, ben organizzata e senza trascendere in derive teppistiche come invece è avvenuto ieri, la si sarebbe potuta mettere in atto a campionato concluso e a scempio tecnico completato. Averlo fatto a cinque giornate dalla fine, con la squadra che, è questo il paradosso, sarebbe salva se tutto finisse oggi, è stata una sciocchezza, l'ennesima dimostrazione della scarsa capacità raziocinante di chi fa il tifoso sette giorni su sette e ha preso possesso dello stadio.
TEPPISTI E SICUREZZA - No: il brutto del pomeriggio di Marassi non è stata questa resa, pur avvilente,  dei giocatori ai desiderata di una parte del pubblico. Il brutto è stata l'ennesima Caporetto organizzativa e dell'apparato di sicurezza, l'incapacità di tenere fuori dagli impianti i violenti e le loro attrezzature, petardi o fumogeni che siano; l'incapacità di impedire che uno sparuto drappello di male intenzionati migrasse da un settore all'altro dello stadio con intenzioni bellicose; l'inadeguatezza di un servizio d'ordine che, oggi come al famoso derby romano del 2004, non è stato in grado di proteggere né la maggioranza degli spettatori pacifici (fra cui tanti bambini: torneranno mai allo stadio?), né quelli che stavano in campo, di dare loro la sicurezza necessaria per continuare serenamente la gara; perché se questa sicurezza ci fosse stata, credo che né Preziosi né i giocatori, il disorientato capitan  Rossi in primis, avrebbero scelto la via del compromesso (togliere le casacche) per tenere buoni i teppistelli. E se hanno scelto di comportarsi così nonostante le rassicurazioni, allora, invece di accusarli, occorre porsi pesanti e pressanti interrogativi su quanto pesante sia diventato il clima di soggezione e di intimidazione. 

                                          Marco Rossi, capitano del Genoa

Povero Marco Rossi: addirittura rimbrottato dagli alti papaveri, perché non avrebbe dovuto assolutamente sfilarsi la maglia. Addirittura rinnegato da una parte della tifoseria, lui, la Bandiera, il Capitano che ha seguito il Genoa anche in Serie C, improvvisamente ritenuto non più degno perché "gliel'ha data vinta", mentre Sculli, lui sì cazzutissimo, la divisa sociale se l'è tenuta addosso, perché non ha paura di nessuno, lui. Certo non viene in mente ad alcuno che il povero Rossi abbia scelto di fare l'unica cosa possibile, in quel momento, per evitare che la situazione degenerasse e per portare a termine quella sciagurata partita, limitando oltretutto i provvedimenti disciplinari a carico della società. 
IMPOTENZA CONTRO I VIOLENTI - Così, abbacinati dalla violazione della sacralità delle maglie, i potenti del football promettono pene esemplari e gli opinionisti annuiscono, soddisfatti. Non sono stati in grado di proteggere Marchino Rossi, gli altri giocatori, pulcini bagnati in mezzo al caos, e nemmeno gli spettatori (quasi tutti, of course) che a Marassi volevano solo stare vicini all'amato Genoa nel momento più difficile della sua storia recente. E ancora prima, molto prima, hanno lasciato sole le società, che certo non sono immuni da colpe, ma che hanno ben pochi mezzi pratici per opporsi al fenomeno della malefica invadenza di certa tifoseria (organizzata o meno) nella vita dei club. Tifoseria che si erge a portavoce di tutti i sostenitori, fuori e dentro gli stadi, perché, sai, loro vanno in trasferta e seguono la squadra tutte le domeniche, quindi ne sanno più di tutti e hanno sempre più voce in capitolo degli altri, e loro non sbagliano mai; gente che spesso tiene in scacco i club, dirigenti e giocatori, arrivando addirittura a imporre scelte strategiche che dovrebbero essere di esclusiva competenza dello staff tecnico e societario. Scindere il legame malato fra calcio e ultras è il primo di una serie di passi da compiere per cominciare a salvare questo sport: qualcuno avrà il coraggio di iniziare? 
Il presidente del Genoa Preziosi, che per qualcuno rimarrà sempre l'uomo della valigetta (mai esistita, invenzione di un fazioso giornalista locale) ma che le sue colpe "sportive" le ha ampiamente pagate (non tutti, nel calcio di Serie A di oggi, possono dire altrettanto), al termine del disgraziato match col Siena ha lanciato un grido di protesta e di aiuto forte e chiaro, senza giri di parole, come in passato, forse, il solo Lotito aveva trovato il coraggio di fare. Bene, che chi ha il potere lo ascolti, invece di lanciarsi in filippiche e reprimende populiste che sentiamo da anni, dopodiché quando passa l'indignazione del momento i motorini tornano a volare giù dagli spalti, i rubinetti ad essere lanciati in campo e i tifosi veri, soprattutto i giovanissimi, si allontanano sempre più da questo mondo, preferendo il calcio da salotto o altri sport più pacifici. 

1 commento:

  1. anch'io ho dedicato al Genoa uno spazio nel mio blog ma, a mente lucida, non mi sembra di fatto un problema della tua squadra, o meglio, non solo. Purtroppo è un sistema generalizzato quello che fa sì che gli ultras riescano a fare il bello e il cattivo tempo, a esaltare la squadra e i propri giocatori quando ci sono i trionfi, le promozioni ecc e a minacciarli pesantemente quando la barca inizia a scricchiolare.. d'altronde senza spostarsi più di tanto mi sembra che anche la rivale Samp l'anno scorso abbia patito una contestazione pesantissima, ben prima di retrocedere.. e il tutto dopo aver partecipato, seppur per poco, alla Champions. Non ci sono tante altre parole da spendere, per un tifoso sarebbe il caso di stringersi vicino alla squadra, almeno finchè il campionato è in corso e le probabilità di salvarsi ancora alla portata

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