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martedì 15 maggio 2012

LE MIE RECENSIONI: "DARK SHADOWS"



Peccato, peccato davvero. Potenzialmente, "Dark Shadows" di Tim Burton aveva tutte le carte in regola per diventare uno dei film dell'anno. L'idea di fondo offriva tutti gli spunti possibili e immaginabili per dare vita a un devastante (in senso buono) cocktail fantasy - horror - storico - comico. Lo sviluppo della sceneggiatura, ahimè, ha fatto sì che tutte le buone  intenzioni rimanessero sulla carta. 
Dietro gli splendidi costumi, la suggestiva ambientazione e l'imponente dispiego di effetti speciali, c'è il vuoto spinto o quasi. La vicenda, si diceva, si prestava benissimo a una lettura su molteplici livelli narrativi; pensiamo alle peripezie del protagonista, Barnabas Collins (Johnny Depp), uomo d'affari settecentesco di successo e di fascino, trasformato in vampiro per vendetta da Angelique, una strega perfida e ammaliatrice che da lui si era vista respinta (Eva Green), sepolto vivo e riportato alla luce della vita a due secoli di distanza, costretto quindi a ricominciare a vivere in un'epoca a lui totalmente ignota e ostile (gli anni Settanta del Novecento, fra capelloni, hippies e musica rock).
La "distorsione spazio - temporale" in cui il personaggio si trova proiettato, per quanto di non eccessiva originalità, è una di quelle soluzioni cinematografiche che maggiormente si presta alla creazione di situazioni equivoche e di esilaranti malintesi. Insomma, una bomba comica ad elevato potenziale alla quale, però, non è stata tolta la spoletta. Ed è colpa gravissima, perché, pur in una pellicola "multigenere" come questa, porre al centro dell'attenzione un canovaccio come quello sopra descritto significa compiere una precisa scelta di campo narrativa, ossia puntare su un deciso "alleggerimento" in chiave ironica del clima da thriller gothic - fantasy che rappresenta comunque il brodo di coltura in cui nasce  e cresce questo film. 
L'alleggerimento comico rimane invece, come detto, solo un tentativo riuscito a metà. Il guaio è che questa latitanza non viene compensata da uno sviluppo più elaborato degli altri piani del racconto filmico. Il crollo e la rinascita dell'impero finanziario dei Collins (fondato sulla pesca) sono tratteggiati senza gran dovizia di particolari, l'altera e disincantata Elizabeth (Michelle Pfeiffer), figura di riferimento della famiglia Collins in disgrazia del ventesimo secolo, rimane in abbozzo, quasi in soggezione al cospetto dei mattatori Depp e Green, nonostante il suo ruolo nella trama sia tutt'altro che trascurabile, mentre del tutto incomprensibile risulta la scelta di non dare sviluppo adeguato al personaggio di Josette (Bella Heathcote), giovane istitutrice chiamata proprio da Elizabeth Collins per prendersi cura del piccolo David, problematico bambino ancora sotto shock per la tragica scomparsa in mare della madre, col cui fantasma egli sostiene di comunicare costantemente.
Josette rappresenta la reincarnazione fisica e spirituale della donna di cui Barnabas si era perdutamente innamorato nel Settecento (scatenando le ire davvero funeste della strega Angelique): irrompe immediatamente sulla scena del film e ben presto la si vede dialogare con lo spirito della bella un tempo amata dal Vampiro protagonista, e, insomma, sembrerebbe una figura assolutamente centrale nello sviluppo della vicenda. Invece, a metà pellicola passa inesorabilmente in secondo piano, per ricomparire in un movimentato finale in cui il suo tormentato amore con Barnabas trova realizzazione in maniera del tutto imprevedibile. Ma il personaggio era così ricco di sfaccettature psicologiche che avrebbe meritato ben altro rilievo e avrebbe potuto far prendere al film una piega assai più originale e spiazzante. 
Insomma, regia e sceneggiatura paiono a tratti... malferme, indecise sulla strada da prendere, irresolute di fronte alla poliedricità di un canovaccio che, effettivamente, è estremamente complesso e multidirezionale ma che, proprio per questo, avrebbe meritato una architettura filmica di maggior spessore, più elaborata e ragionata. Sullo sfondo di tutto, un ritmo che decolla con decisione solo in chiusura, regalando per contro, in precedenza, tempi lenti e un diffuso senso di incompiutezza. Di buono, restano il personaggio di Johnny Depp, efficacemente tratteggiato, anche se, certo con un qualche eccesso critico, si potrebbe dire che il ritratto del vampiro innamorato, e risorto a nuova vita per risollevare le sorti della famiglia, stride un po' con la sua crudeltà di fondo, in certi frangenti totalmente gratuita (che ci azzecca l'uccisione  a sangue freddo dei simpatici e sfasatissimi hippies con cui si era a lungo intrattenuto attorno a un falò, per meglio comprendere il secolo in cui era stato catapultato?); la giovane Carolyn Collins, classica ragazzina anni Settanta (ma anche Ottanta, Novanta e via dicendo...) ribelle, sempre in conflitto con la famiglia, appassionata di musica "caciarona", niente di particolarmente innovativo ma resa da Chloè Grace Moretz in una interpretazione di buonissimo spessore; la figura della svitata psicanalista di famiglia dei Collins, Julia (Helena Bonham Carter), che cerca di carpire a Barnabas il segreto della eterna vita terrena con una pratica medica innovativa e.... molto, molto discutibile; e infine la colonna sonora, che attinge a piene mani dal repertorio rock dell'epoca riservando un ruolo di primo piano all'idolo di Carolyn, quell'Alice Cooper  il cui cameo a metà film sarà stato senz'altro apprezzato dai nostalgici e dai cultori del genere.  

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