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sabato 21 luglio 2012

LE MIE RECENSIONI: CHEF



Negli ultimi anni, l'arte culinaria, declinata nei più svariati format (dalla gara fra i fornelli alla semplice presentazione di pietanze più o meno elaborate) è diventata uno dei... piatti forti dei palinsesti televisivi (non  solo nostrani, I suppose). Inevitabile che, prima o poi, l'urticante moda dilagasse fino ad invadere il mondo di celluloide. Ecco dunque sul grande schermo, per questa estate 2012, "Chef" di Daniel Cohen, pellicola francese leggera leggera, come si conviene alla stagione calda. 
La storia in breve: il fulcro è l'ascesa di Jacky, giovane, talentuoso e preparatissimo genio della cucina, un autentico Messi della sua categoria, "svezzato" e lanciato in grande stile da Alexandre, uno chef fra i più prestigiosi dell'Exagone, ma da un po' di tempo finito nel mirino di un alto dirigente dell'azienda per cui lavora, folgorato sulla via della "nouvelle vague" gastronomica, della nuova frontiera del cibo. Ecco dunque che, a far da sfondo e pretesto alla vicenda narrata, si staglia la grande sfida che ha caratterizzato il settore nell'ultimo decennio, quella fra "haute cuisine" tradizionale e avanguardismo, in particolare la cosiddetta "cucina molecolare". Da che parte stiano gli ideatori del film, in questa ideale battaglia a colpi di cibarie, non è revocabile in dubbio, alla luce delle ironie nemmeno troppo velate riservate ai piatti molecolari, con le loro porzioni microscopiche e gli ingredienti misteriosi o fin troppo insoliti. 
Per la gran parte del pubblico italiano, l'unico attore veramente di fama della pellicola è Jean Reno, lo chef veterano e tradizionalista: performance di tutto rispetto, la sua, pur senza picchi di genialità, ma alla fine il vero mattatore risulta essere il suo preparatissimo allievo, interpretato da un Michael Youn camaleontico anche per mimica facciale. L'intesa fra i due è buona e impreziosisce un'opera più che dignitosa, anche se non eccezionale. 
Come è capitato per altri prodotti cinematografici recenti, l'idea alla base del film è buona e anche originale, se non altro perché è raro vedere esplorato sul grande schermo l'universo della cucina professionale, le rivalità, gli scontri, la gavetta da sostenere per arrivare in alto. A ben pensarci, nulla di particolarmente diverso da altri ambiti lavorativi, però nessuno, credo, finora ce l'aveva mai fatto vedere in versione cinematografica e romanzata. Lo sviluppo è però un po' manieristico e stereotipato: tutto ciò che accade è troppo bello, perfetto e a lieto fine per essere anche realistico. Il giovane Jacky, dapprima genio incompreso dei fornelli, dopo aver ricevuto mille porte in faccia perché non in grado di adattarsi a realtà professionali "minori" (inutile, è il concetto in soldoni, proporre pietanze di pregio a chi non sa andare più in là di bistecca e patate fritte, ma lui proprio non lo capisce e va incontro a una delusione dopo l'altra), per una serie di circostanze e casualità si imbatte nel grande chef, che assaggia una delle sue elaborate delizie e decide di prenderlo in prova. Dopo varie peripezie, Alexandre vince la sfida col colosso della cucina molecolare e, da trionfatore al culmine della gloria, si ritira cedendo il posto proprio al giovanotto rampante, mentre la sua arte culinaria, finalmente rivalutata, andrà a impreziosire e valorizzare il ristorante della sua nuova giovane e affascinante fiamma; il tutto, mentre il dirigente del ristorante che aveva fatto la guerra al grande chef viene degradato a cuoco semplice, vendetta delle vendette. Dubito che nella realtà abbondino esempi di vita così magnificamente sublime e densa di soddisfazioni: regalare sogni allo spettatore va bene, ma è sempre meglio non esagerare, perché il rischio è di creare trame troppo "forzate" e perciò poco credibili.
Un quadro un po' artificioso, insomma, col suo ottimismo sparso a piene mani e non "q. b." (quanto basta), come consiglierebbero le più tradizionali ricette, ma comunque sostanzialmente godibile e divertente. Magari, ecco, si poteva cercare di raschiare un po' di più il barile della fantasia per le vicende collaterali alla storia principale: la figlia dello chef che, in prossimità della laurea, si sente trascurata dal padre, troppo preso da lavoro e carriera, ma ne riconquista alfine l'attenzione; il giovane protagonista in crisi con la moglie incinta la quale però, dopo il parto, perdona l'uomo per le passate disavventure professionali e per le bugie raccontate al fine di poter portare avanti la sua passione; Alexandre che, lo si è detto, dopo un matrimonio finito male ritrova una compagna e all'evento abbina anche una svolta professionale oltremodo significativa. Tutto idilliaco, mieloso e prevedibile, contorno sciapo a una pietanza principale ben più saporita, al confronto. Di rilevante e gustoso, da segnalare anche la satira (non si sa se involontaria o meno) alle trasmissioni televisive dedicate alla cucina, qui parodiate per mezzo di un programma presentato dai due protagonisti "all'aperto" (in un mercato cittadino e, nel finale, addirittura a pochi metri dalla Tour Eiffel), che si conclude immancabilmente con un divertente battibecco in diretta fra i due "artisti", per contrasti legati all'uso di ingredienti e spezie varie. 

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