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giovedì 23 maggio 2013

BILANCIO TECNICO DELLA SERIE A, PARTE PRIMA: I PROMOSSI. SPETTACOLO NAPOLI E FIORENTINA

                                          Cavani: semplicemente mostruoso

La Serie A va in archivio, e in sede di bilancio tecnico va subito detto che non tutto è stato da buttare. Nonostante le (sacrosante) grida di dolore per l'abbassamento qualitativo fatto registrare dal torneo negli ultimi anni, mi sento di poter confermare quanto scritto al giro di boa del campionato, ossia che non mi pare si siano registrati ulteriori passi indietro sul piano del livello del gioco, rispetto alle precedenti stagioni. Certo, ciò non è stato merito di tutti, anzi, forse mai come quest'anno si è assistito a una spaccatura netta, un divario abissale fra un gruzzolo di squadre che hanno prodotto calcio dignitoso quando non estremamente piacevole, e la maggioranza che invece ha dovuto fare di necessità virtù, limitandosi a una manovra scarna ed esteticamente dimenticabile, a un piccolo cabotaggio sparagnino e allo sfruttamento massimale dei loro pochi uomini dotati di classe superiore. 
FORMULA DA CAMBIARE - Si moltiplicano i dubbi sulla formula: il finale di stagione ha "regalato" una serie di partite senza alcuna rilevanza effettiva ai fini della classifica, senza "sale" agonistico, principalmente per "colpa" di un folto drappello di compagini che, avendo comunque il merito di essersi messe in sicurezza con congruo anticipo, si sono consegnate a una marcia in folle che ha fatto scadere spettacolo e interesse. Nella consapevolezza che il calcio italiano non sia quello inglese, e che quindi, per DNA più che per furbizia o disonestà, sia difficile chiedere ai giocatori di mantenere la stessa intensità di impegno una volta raggiunto il loro obiettivo, ritengo che il problema risieda nel format a 20 squadre, discutibile in tempi di vacche grasse, figuriamoci con la penuria attuale di talento. Sul tema, pare abbia finalmente battuto un colpo anche Abete: benissimo, ora che il meccanismo federale si è messo in moto, fra una decina d'anni assisteremo finalmente alla tanto agognata riduzione d'organico...
Battute a parte, basterebbe questo, non i playoff tanto desiderati da qualcuno e che, personalmente, ritengo una profonda ingiustizia sportiva, e in Serie B se ne hanno esempi tutti gli anni (da ieri sera, Livorno ed Empoli sono costrette a giocarsi l'ultimo posto in A contro squadre arrivate anni luce lontane da loro in regular season): i campionati nazionali non sono come Mondiali ed Europei che durano un mese, un torneo che si snoda lungo l'arco temporale di quattro stagioni non può  e non deve essere deciso da una serie di spareggi da consumarsi in pochi giorni.
NAPOLI - Poche squadre a onorare il bel football, dicevamo. Fra queste naturalmente i campioni della Juventus, ai quali ho già dedicato un lungo post e sui quali quindi è superfluo ritornare. Assieme ai bianconeri, un podio... allargato formato da Napoli, Fiorentina e Udinese. Che dire dello splendido team azzurro? Macchina da gioco e da punti, collettivo di straordinaria efficacia, capace di migliorare mostruosamente il bottino messo insieme nel 2011/12 nonostante la partenza di Lavezzi, che personalmente avevo intuito non essere così incisivo e determinante: i veri fuoriclasse sono altri, anche se magari l'argentino lo diverrà, un giorno... In compenso, sta sorgendo l'astro di Insigne, che ha saputo ritagliarsi momenti di splendore autentico, con una presenza viva (anche se non sempre lucidissima) nel gioco d'attacco, con assist sontuosi e colpi risolutivi sotto porta. Chiaro, manca la continuità, ma la stoffa c'è, eccome.
Su Cavani qualsiasi considerazione sarebbe superflua: uno dei bomber più prolifici degli anni Duemila, percentuali di realizzazione strabilianti, roba da Batistuta degli anni d'oro, varietà di soluzioni conclusive praticamente illimitata. Qui arrivano le dolenti note, perché il club partenopeo potrebbe perdere lui e di certo ha già perso Mazzarri. Eppure, con loro il sogno di riportare il tricolore sotto il Vesuvio non era impossibile. Cosa accadrà adesso? Semplice: se si vuole continuare su questo trend, occorre investire su un allenatore di altissimo profilo, scegliendo nel mazzo dei tanti che si sono liberati in questi giorni in Italia e all'estero, e investire i soldi ricavati dall'eventuale cessione dell'uruguagio, per cercare campioni che lo possano anche solo avvicinare in termini di classe e di resa. Osvaldo? Benissimo, ma da solo non basterebbe: tuttavia qui i discorsi si fanno del tutto aleatori, perché cambio di guida tecnica potrebbe significare cambio di filosofia di gioco, con una manovra che non punti più su di un unico sbocco offensivo ma che preveda di giungere al gol attraverso strade molteplici. Un po' come la Juve di Conte... 
FIORENTINA - La Fiorentina è stata la squadra più spettacolare e scintillante, abbinando "morbidezza" di gioco a dinamismo,  un collettivo capace di chiudere e rilanciare con pulizia e di approcciarsi alla rete avversaria con ampia varietà di schemi. Montella ha rilanciato Pasqual, Aquilani e persino un Toni che pareva al capolinea; la società ha azzeccato (bravura e fortuna) tutto ciò che poteva in sede di campagna acquisti, da Borja Valero in giù: per chiudere di netto un capitolo storico come quello che era stato scritto dai vari Gamberini, Behrami e Montolivo non basta il coraggio, ci vogliono capacità di programmare e profonda conoscenza del mercato, e a Firenze hanno dimostrato di possedere entrambe queste doti. Notazione per Liajic che, da ragazzino immaturo che era, si è trasformato in un guastatore devastante. E se Jovetic, uno dei pochi fuoriclasse d'oltrefrontiera ancora presenti in Italia, farà le valigie, per l'anno prossimo c'è un Giuseppe Rossi che darà l'anima per riconquistare un posto in Nazionale.

                                    Di Natale: fuoriclasse, anche se solo in Italia...

UDINESE - L'Udinese ci ha sorpresi ancora. Al giro di boa pareva evidente che, dopo tanti anni, l'ennesimo mercato all'insegna delle partenze eccellenti avesse infine prodotto il temuto contraccolpo sulle ambizioni friulane. Timori spazzati via da un girone di ritorno a media scudetto, o giù di lì: questa volta, però, i soliti "stranieri sconosciuti" pescati chissà dove hanno inciso meno di altri del passato. A trascinare i bianconeri è stato sopratutto il blocco italiano, lo zoccolo duro della squadra, i Domizzi e i Pinzi, quelli che restano mentre attorno tutto o quasi cambia vorticosamente. Presa nota della conferma del flessuoso Muriel dopo le promesse leccesi, Di Natale merita un discorso a parte: dopo l'ennesima stagione stratosferica, entrerà nella storia come uno dei grandi misteri del nostro football: su dimensioni da fuoriclasse d'attacco senza mezzi termini entro gli italici confini, buon giocatore o poco più, ma raramente deflagrante, quando si trova a dover recitare su ribalte internazionali. Un limite, certo, ma ad ogni buon conto avercene, di elementi così!
Rimane un cruccio: perché, dopo tanto affannarsi a inseguire il piazzamento europeo, in Coppa si fa sempre cilecca? La gestione della partecipazione all'Europa League di quest'anno è stata imperdonabile, e nessuno mi darà mai a bere che questa Udinese valesse meno di Basilea, Fenerbahce o altre squadre giunte quasi fino alla fine della competizione. E per quanto riguarda i problemi di gestione dell'impegno sui due fronti (che comunque esistono anche per le squadre degli altri Paesi, le quali però in generale l'EL la onorano), faccio presente che l'unico anno in cui i friulani fecero davvero strada, giungendo a un passo dalla semifinale del torneo, ossia nel 2009, in campionato ottennero un onorevolissimo settimo posto, senza quindi correre rischi di retrocessione...
LAZIO - Bicchiere solo mezzo pieno per la Lazio, che all'andata si era imposta come la squadra che, assieme alla Fiorentina, più di tutte riusciva ad abbinare gioco di buona fattura e risultati, anche se con minore intensità spettacolare. Quando già si pregustava l'inserimento nell'area scudetto, il crollo, per un ritorno a scartamento ridotto, con media punti buona per una salvezza tranquilla ma non troppo. Il settimo posto conclusivo, con troppe sconfitte e con il sorpasso in dirittura d'arrivo dei concittadini giallorossi, non possono essere considerati soddisfacenti in toto. Però ci sono una finale di Coppitalia da giocare e un buon cammino in Europa League, con l'eliminazione di due rappresentanti di quel calcio tedesco che, oggi, ci surclassa su quasi tutti i fronti. Tuttavia, per potenziale d'organico e capacità di produrre manovra di pregio ed efficacia il piazzamento europeo doveva essere centrato senza dover attendere l'appendice (di lusso) di domenica prossima. Di rilievo il rilancio su misure internazionali di Marchetti e di un Candreva duttile, completo e decisivo.
CATANIA E BOLOGNA OK - Al di fuori del ristretto novero delle big d'elezione, meritano la citazione altre due compagini che hanno cercato di tenere alto il nome del bel gioco, pur disponendo di mezzi limitati. Su tutte il Catania argentino, solido in difesa, ispirato nel mezzo da un Lodi che è, al momento, uno dei migliori centrocampisti italiani per saggezza tattica e inventiva, ed effervescente in avanti, in particolare con un Gomez che è ormai campione a tutto tondo e un Bergessio che ha limato certe ruvidezze ed è diventato bomber inesorabile. Elogi anche per il Bologna: riuscire a mostrare sprazzi di buon calcio nell'inferno della zona rischio non è facile, ma i felsinei hanno centrato la salvezza anticipata senza mai scendere a compromessi con tatticismi esasperati e gioco al risparmio. Certo, avendo in squadra il satanasso Diamanti (che merita una grande), il ritrovato Glilardino e centrocampisti di quantità e qualità come Kone e Taider era giusto puntare più sulla spigliatezza offensiva e sui piedi buoni che sul "fare legna", e allora non resta che recriminare su una squadra costruita... a metà, perché con un pizzico di qualità in più dietro, i rossoblù avrebbero potuto togliersi ben altre soddisfazioni. Sulla stessa linea (di rendimento e di gradevolezza estetica di gioco) si è mantenuta  a lungo l'Atalanta, poi scadimenti di forma, discontinuità, errori di mercato (Schelotto e Peluso via a gennaio: perché?) hanno complicato le cose e ingrigito la squadra.

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