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domenica 26 maggio 2013

CHAMPIONS LEAGUE: BAYERN CAMPIONE IMPERFETTO, LA LEGGENDA E' ANCORA LONTANA

                                             Robben e Heynckes, eroi a Londra

Troppo banale sarebbe raccontare la finale di Champions League 2013 puntando tutto sulla favola di Robben, il fuoriclasse a metà condannato sistematicamente a fallire gli appuntamenti con le gare della vita fino a quando ieri sera, a un minuto dai supplementari, un benevolo folletto è balzato fuori dalla soffice erba del nuovo Wembley Stadium e ha accarezzato il suo piede sinistro, per un ciabattata che ha indirizzato docile il pallone nella rete dell'impietrito Weidenfeller. Un cenno era dovuto, ma, se di favole si deve parlare, personalmente preferisco quella di Jupp Heynckes, allenatore mai troppo reclamizzato ma che, più o meno silenziosamente e pur fra qualche pausa, è ai vertici del calcio europeo da almeno venticinque anni. Era già sulla panchina del Bayern (un Bayern competitivo, come quasi sempre, ma non scintillante come quello odierno) quando ancora andavo alla scuola dell'obbligo, negli anni Ottanta, e oggi, che mi sto avvicinando alla soglia dei quaranta, lui è ancora là, e come il vino è migliorato col passare dei lustri e dei decenni. 
CONCRETEZZA - Al di là di queste romanticherie e delle digressioni personali, la sfida londinese ha detto almeno un paio di cose significative. La prima: quando un'ottima squadra, potenzialmente una grande squadra, si trova a dover affrontare in partita secca una corazzata con le stimmate del team destinato a dominare per diversi anni, ha l'obbligo di sfruttare al massimo i momenti di superiorità tecnica, tattica e atletica, e di concretizzare le occasioni che riesce a costruire. Se non lo fa, la corazzata, per quanto in gravi ambasce, rimane in gara ed è pronta a riemergere, pronta ad assestare anche solo un paio di ganci al mento, ma devastanti, e portarsi a casa il trofeo. Pragmatismo e killer instinct, ci vogliono, altrimenti rimangono solo gli applausi e gli elogi. A questo pensavo, ieri sera, assistendo allo splendido primo tempo del Borussia Dortmund, a quelle violente folate offensive, allo spettacoloso Neuer, degno erede della scuola tedesca dei Maier e degli Schumacher, che si opponeva  inesausto alle bordate di Lewandowski e dell'ispiratissimo Reus, purosangue dalla falcata elegante, dal dribbling secco, prototipo del calciatore contemporaneo, rapido e scattante, fantasioso, autentico incubo per la retroguardia bavarese. 
IL "BRACCINO" DEL BAYERN - Bombardavano gli avversari, i gialli, ma senza cavare un ragno dal buco, dando respiro a un Bayern timido, frenato da blocchi psicologici che hanno radici lontane ma son duri a morire (quanto pesano le tante beffe in dirittura d'arrivo patite dal club in questa competizione!), e da giocatori come il sopra citato Robben, tanto bravi e inesorabili nelle fasi di approccio quanto, puntualmente, preda di inspiegabili "braccini" da tennista al momento di cogliere i frutti di quanto seminato in precedenza. Guardavo, e mi veniva spontaneo il paragone con un'altra finale di Coppa Campioni, giusto trent'anni fa: Amburgo contro Juventus ad Atene. Finale simile, perché anche allora c'era una compagine tutta stelle, quella bianconera Mundial, contro una buonissima squadra tedesca (però inferiore al Borussia attuale): anche allora la compagine tutta stelle girò in folle, non trovò il bandolo della matassa, con la differenza che l'avversaria fu implacabile nello snudarne i limiti psicologici e nel finalizzare, in avvio, una delle poche occasioni create (ricordate il maligno tiro di Magath che beffò Zoff?), rivelatasi alla fine decisiva. 
CALCIO D'ALTO LIVELLO - Concretezza, dunque. La differenza fra le due massime espressioni attuali del calcio teutonico è stata tutta qui, laddove si pensava che la classe superiore dei rossi, la loro maggior completezza, l'esperienza agli alti livelli, avrebbe finito con l'indirizzare chiaramente l'esito del match. Così non è stato: si è trattato di una finale equilibrata, fin quando le risorse mentali e atletiche hanno sorretto il team di Klopp; una gara che fino a dieci minuti dalla fine non si è sbilanciata né da una parte né dall'altra, con alterni momenti d supremazia e occasioni, tante occasioni, per entrambe le compagini. Una degnissima finale, una delle più godibili alle quali abbia assistito in vita mia (e seguo il calcio, grosso modo, dalla metà degli anni Ottanta...). Dicevamo del Borussia, di un Reus nuova star del calcio internazionale, ma anche di un Blaszczykowski stantuffo inesauribile sulla destra, di un Lewandowski attaccante completo e dalle innumerevoli soluzioni di tiro, di un centrocampo mobile e aggressivo che ha avuto in Bender uno degli interpreti più continui, di una difesa attenta in Subotic e miracolosa nel poco reclamizzato Weidenfeller. 
RIBERY INTRAMONTABILE - E il Bayern? Ha vinto la meno convincente delle sue partite internazionali targate 2013. Ha vinto grazie a un inappuntabile Neuer, lo si è detto, a un Mandzukic che dal brillante Euro 2012 non ha più arrestato la sua crescita, spesso nascosto nelle pieghe del match per poi spuntare fuori con acuti vincenti, a un Martinez non sempre lucido ma comunque costantemente nel vivo della zona nevralgica. Su tutti, un Thomas Muller eclettico, generoso, pungente e un Ribery sensazionale, uomo ovunque in straripante condizione fisica (come già si era intuito al Nou Camp), capace di essere decisivo nelle due fasi, di correre a coprire e poi di spingere con proprietà. 
ROBBEN MEGLIO DI... DEL PIERO - Su Robben mi son già parzialmente espresso: giustamente uomo del match, secondo i criteri delle federazioni internazionali che, per ovvie ragioni... mediatiche, più che premiare gli uomini tatticamente più importanti incoronano quelli decisivi per gol e assist. Ecco, l'olandese ha scodellato il cross per l'1 a 0 ed è andato a segnare, con un tocco sporco, il punto del trionfo. Prima, però, anche un paio di gol clamorosamente falliti, come gli era capitato già nella finale mondiale di Sudafrica 2010 e in altre sfortunate circostanze. Merita dunque l'elogio pieno, e meritava questo improvviso... assentarsi della malasorte. Di certo è stato più fortunato di Del Piero, altro... perdente di successo, un altro giocatore sublime che ha fallito tanti match "della vita" senza aver mai avuto l'occasione di ergersi, almeno una volta, a eroe unico, a mattatore assoluto, a "hombre del partido". 
PER LA LEGGENDA CI VUOL ALTRO... - Ma la finale di Wembley (a proposito, perché due volte a Londra nel giro di tre anni?), ha detto un'altra cosa importante: ci si attendeva la consacrazione del Bayern Monaco a potenziale erede dei leggendari del Barcellona (che comunque, segnatevelo, non sono ancora finiti...). La consacrazione non c'è stata, perché per essere tale doveva passare attraverso una clamorosa dimostrazione di forza, o quantomeno una prova convincente a tutto tondo. Non è avvenuto: per cominciare ad addentrarsi nella leggenda, non basta vincere una Coppa dei Campioni, e sopratutto non basta vincerla come ha fatto il team di Heynckes: che ha meritato il successo, ma lo ha raggiunto sbagliando totalmente l'approccio iniziale alla gara, venendo di fatto graziato da avversari inesperti e generosi, mancando a tratti clamorosamente nella continuità d'azione, quella con cui aveva raso al suolo Juventus prima e Barcellona poi. Un Bayern normale, tutt'altro che scintillante, persino fragile psicologicamente, però solido e comunque aiutato dagli avversari a non crollare. Concreto, ecco, come si diceva all'inizio. Degni campioni d'Europa, insomma, ma per il mito occorrono altre conferme. 

1 commento:

  1. finale molto equilibrata, che ha sancito inequivocabilmente la forza del modello tedesco. Tifavo per il Dortmund che avrebbe chiuso un ciclo fantastico ma alla fine la stanchezza dei gialloneri ha prevalso e sono emerse alla distanza le caratteristiche vincenti dei bavaresi. Grande squadra, ma non ancora epocale come dici tu

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