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domenica 19 maggio 2013

VERONA E SASSUOLO IN SERIE A: E CON L'HELLAS RITORNA UN PEZZO DI STORIA DEL CALCIO


                                       Cacia: coi suoi gol ha riportato il Verona in A                                

Una delle giornate più emozionanti della storia recente del campionato di Serie B ci ha lasciato in eredità due favole, due di quelle vicende che contribuiscono ad alimentare il fascino transgenerazionale del football, favole di cui, oggi più che mai, il calcio nostrano ha disperatamente bisogno per riguadagnare terreno in fatto di consensi e popolarità. Del Sassuolo, della feroce battaglia di Modena col Livorno chiusa con una memorabile apoteosi, parlerò più avanti. Perché è chiaro che, sul piano prettamente storico, la copertina la merita più di tutti il Verona. L'Hellas torna in Serie A dopo undici anni, e non è un ritorno qualsiasi: è un recupero fondamentale per il nostro movimento calcistico di vertice. 
UNA "GRANDE" DI PROVINCIA - Sì, perché non può non stare nella massima divisione una società che ha saputo scrivere, quasi trent'anni fa, una pagina epica di questo sport. Uno scudetto in provincia, nel 1985, in un contesto tecnico estremamente più competitivo e qualitativo di quello che vive oggi il pallone di casa nostra. Sono fatti stranoti, ma ricordarli fa bene al cuore:  quel Verona mise in riga tutte le grandi di un campionato che, all'epoca, era davvero "il più bello del mondo", etichetta che il nostro torneo si è poi portato appresso a sproposito per tanti, troppi anni, prima di prendere atto di una realtà  che è oggi assai meno luminosa.
Non fu né un caso né una meteora, come qualche superficiale ritene oggi di dover liquidare quella conquista: fu, lo scudetto '85, il punto più alto di un progetto quasi decennale. Quel Verona prese forma all'inizio degli anni Ottanta: nella squadra che vinse il campionato cadetto 1982 c'erano già i Garella, i Tricella, i Di Gennaro, elementi che poi sarebbero stati fra i più determinanti nel trionfo tricolore. E c'era già, soprattutto, Osvaldo Bagnoli, il trainer che plasmò tatticamente e mentalmente quella compagine fino a renderla una macchina perfetta. Lavorando in serenità, senza alcuna pressione da parte di un ambiente che chiedeva solo di non vivere più pericolosamente e che, invece, si ritrovò a competere per i più alti traguardi. 
PROGETTO DECENNALE - Un percorso quasi decennale, dicevo. Già, perché non ci fu solo lo scudetto: prima e dopo, arrivarono altri risultati di assoluto prestigio: due quarti posti in campionato, due finali di Coppa Italia, partecipazioni alle coppe europee con esiti tutto sommato lusinghieri. Nulla di casuale, quindi, ma una avventura lunga e frutto di una programmazione rigorosa ed equilibrata. L'85, come detto, fu il punto più alto: il passo definitivo per alzare l'asticella e puntare al massimo traguardo fu l'arrivo di due autentici campioni di fuorivia, il tuttofare tedesco Briegel e la punta danese Elkjaer - Larsen, ma il contributo degli italiani fu sostanziale: le parate sgraziate ma efficaci di Garella, il sontuoso libero Tricella, che per eleganza e sicurezza parve, per qualche tempo, destinato a prendere il posto di Scirea in Nazionale, i guizzi offensivi del furetto Galderisi e la lucida, scarna e geometrica regia di Di Gennaro, che impreziosiva la sua operosità con tiri dalla distanza al fulmicotone. E ancora, le sgroppate mancine di Marangon, l'ordine, l'eclettismo e il fervore dei vari Volpati, Bruni, Sacchetti... 
No, non fu fortuna: questi erano elementi di valore assoluto: certo era più facile che un gruppo così potesse prendere forma in un grande club metropolitano, ma allora poteva succedere che anche lontano dal ristretto novero delle big si riuscisse a costruire qualcosa di veramente importante; il fatto che oggi non sia più possibile è uno dei "vulnus" che hanno contribuito a impoverire il nostro calcio, ma questo è un altro discorso, peraltro già più volte affrontato sul queste pagine. 
GLI ANNI DI PRANDELLI E MALESANI - Dopo la fine dell'epopea bagnoliana, il Verona è tornato altre volte in Serie A. La ricomparsa più significativa è datata 1999, e non  a caso a guidare quella riscossa fu un altro tecnico destinato a lasciare un segno profondo nel libro d'oro del football italiano: Cesare Prandelli. Dopo aver vinto il torneo cadetto, l'Hellas si regalò una stagione da protagonista in A, grazie a un girone di ritorno da favola, con le ciliegine sulla torta dei successi casalinghi su Lazio e Juventus, ossia le due squadre che quell'anno si contesero lo scudetto. Era una compagne senza stelle ma con tanti buoni giocatori, da Brocchi a Italiano, da Diana a Falsini, Da Laursen a Leonardo Colucci. L'unico campione vero era Morfeo, peraltro mai del tutto sbocciato, mentre il braccio armato fu Cammarata, attaccante di scuola juventina dal quale in molti si sarebbero aspettati una carriera ben più folgorante e che forse solo in quella stagione si espresse al massimo del proprio valore. 
Le stelle, a Verona, arrivarono effettivamente negli anni successivi, pur se ancora soltanto "in sboccio": ma i vari Camoranesi, Gilardino e Mutu non bastarono ad evitare alla squadra un nuovo periodo di sofferenza. Dopo una salvezza raggiunta solo allo spareggio, (contro la Reggina), nel 2001, la stagione seguente riservò una delle delusioni più atroci: discesa in B dopo un girone di andata che aveva visto l'Hellas discreto protagonista, fors'anche stimolato dalla presenza in categoria dei dirimpettai del Chievo che, per qualche settimana, occuparono addirittura il primo posto. Ma la fase discendente fu un disastro, e il team affidato a Malesani sprofondò lentamente ma inesorabilmente. 
RITORNO A FARI SPENTI - Su tutto ciò che accadde successivamente dalle parti dell'Arena, meglio stendere un velo pietoso, in particolare sulla troppo lunga parentesi in terza divisione. Lo scorso anno l'Hellas ha rivisto la luce della cadetteria e ha stupito tutti, sfiorando il salto doppio con una squadra senza vedettes: il grande calcio ha scoperto il valore del portiere Rafael, dei difensori Abbate e soprattutto dello splendido Maietta, leader carismatico, dei talentuosi centrocampisti Tachtsidis (subito artigliato dalla Roma) e Jorginho, della punta Juanito, di altri ancora. Su quel blocco già altamente competitivo, l'estate scorsa la società ha lavorato di cesello, innestando una serie di big per puntare con decisione al bersaglio grosso. 
I BIG PER LA SERIE A - Forse questo salto di qualità, questo diventare "squadra da battere" dopo aver viaggiato felicemente a fari spenti per una stagione intera, ha nuociuto all'Hellas sul piano dello spessore di gioco e dell'intensità, non più ai livelli del 2011/12. Però i risultati parlano da soli: i gialloblù hanno brillato per continuità e praticità, i pochi passaggi a vuoto e i periodi di crisi sono stati puntualmente rintuzzati con riscosse che hanno evidenziato la saldezza psicologica e la maturità del gruppo. E del resto ai big acquistati dalla società, ai Cacciatore, agli Agostini, ai Bacinovic, ai Martinho e ai Cacia, si chiedeva proprio questo, oltre all'ovvia iniezione di classe superiore: portare in dote alla squadra esperienza ad alti livelli e capacità di gestire i momenti delicati e di trarre il massimo da ogni situazione. Ebbene, questo Hellas l'ha fatto, magari facendo storcere un po' il naso agli esteti ma centrando l'obiettivo addirittura senza passare dall'incubo playoff, grazie a un rush finale strepitoso che ha lasciato di sasso il lanciatissimo Livorno. 

                                                 Felicità per il Sassuolo

SASSUOLO, CON UN ANNO DI RITARDO - Già, il Livorno: vittima, in extremis, della voglia matta di salire di un Sassuolo che, del resto, non ha fatto altro che cogliere un trionfo già ampiamente meritato dodici mesi fa, e sfuggito in maniera del tutto rocambolesca. Certo, gli emiliani di quest'anno mi hanno per certi versi riportato alla mente alcune avventure cadette del Genoa: come quelle del 2005 e del 2007, quando i rossoblù mostrarono gravi lacune caratteriali che impedirono loro di gestire al meglio situazioni di classifica ottimali, facendoli giungere in dirittura di arrivo col fiato grosso. 
Allo stesso modo, i neroverdi hanno rischiato di gettare alle ortiche un torneo letteralmente dominato fino a un mese fa, a causa di un inspiegabile rallentamento, ma la fiammeggiante battaglia di Modena, che ha avuto momenti di drammaticità sportiva assoluta, ne ha esaltato la capacità di soffrire e ne ha infine premiato la superiore classe e il miglior rendimento complessivo nell'arco del torneo. Calcio d'altri tempi, quello del Braglia: magari esteticamente discutibile (ma la presenza in campo di gente come Missiroli, Boakye e Berardi avrebbe giustificato ampiamente il prezzo del biglietto anche per eventuali spettatori neutrali), ma calcio arcigno, emozionante, vero, pur con qualche eccesso e qualche spigolatura dettati dall'importanza della posta in palio. Meno vero quello del Bentegodi fra Verona ed Empoli, ma personalmente non mi scandalizzerò mai di fronte a "spettacoli" simili, che ritengo pressoché inevitabili quando si trovano ad affrontarsi due squadre con interessi di graduatoria assolutamente convergenti, se non coincidenti (vedasi anche Toro - Genoa di qualche settimana fa). Non è il massimo della sportività, lo so, ma è anche vero che c'è ben altro per cui inorridire, nel nostro football. E dunque, bentornato Verona, e benvenuto (con un anno di ritardo...) Sassuolo! 

1 commento:

  1. l'ho già scritto altrove ma ti rinnovo i complimenti per l'accorata e competente disamina del torneo di due autentiche protagoniste, entrambe con mezzi per affermarsi anche in serie A. Il mio Verona ha faticato di più ma finalmente torna nella massima serie e tu hai colto nel segno, con un articolo illuminante a dir poco. Bravo!

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