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mercoledì 8 febbraio 2017

SANREMO 2017, COMMENTO ALLA PRIMA SERATA: CONFERME PER MANNOIA E META; FERRO, CONSOLI E MARTIN SUPER, PESSIMA L'INTRODUZIONE "NOSTALGICA"


Se per Fiorella Mannoia pare concreta, a prima serata conclusa, l'ipotesi di un "Vecchioni bis", ossia di un trionfo del tutto simile, nelle modalità, a quello che colse il cantautore milanese nel 2011, la vera marcia in più di questo Sanremo numero 67 è rappresentata dai tanti volti giovani che affollano il cast di concorrenti. L'ho già sottolineato nei precedenti interventi, ma non posso che ribadirlo: vedere sfilare sugli schermi di Rai 1, la più tradizionalista delle reti generaliste, personaggi come Lodovica Comello, Elodie, Ermal Meta, la stessa Giusy Ferreri che pure è sulla breccia da qualche annetto, è una conquista il cui peso non è ancora stato adeguatamente valutato. E stasera si aumenterà pure il carico, coi vari Gabbani, Raige, Bravi, Chiara, oltre alle vere e proprie Nuove Proposte. E' un Festival che già nelle ultime edizioni aveva mostrato chiaramente il desiderio di voltare pagina, ma che questa volta ha dato veramente un senso alla parola "rinnovamento", immettendo linfa fresca nelle sue vene e aprendosi autenticamente a un pubblico diverso da quello classico, e un po' attempato (senza offesa), della rete ammiraglia. 
MACCHINA PERFETTA - Fremiti di modernità, tutto sommato, sono emersi anche dalla costruzione di tutta la prima serata, almeno in rapporto alla media della produzione Rai: il debutto è risultato uno show piacevole e dal buon ritmo, più digeribile rispetto ad altri spettacoli visti di recente sul medesimo canale. Certo, novità vere e proprie nel format non se ne sono viste, a parte la ripresa dei cantanti dietro le quinte prima e dopo la performance (idea in parte ripescata dall'edizione del 1986): è un fatto che ormai Carlo Conti guidi col pilota automatico, quasi a occhi chiusi, una macchina televisiva che ha modellato in maniera talmente solida da averla resa pressoché impermeabile a debolezze o momenti di stanca. In tal senso, ecco, è stato un vernissage quasi prevedibile, ma in senso buono: questo è il Sanremo made in Conti, di cui ormai è facile intuire criteri di composizione della scaletta, collocazione degli ospiti, persino la durata. L'anchorman toscano, in questo triennio, ha mostrato di essere tutt'altro che un grigio professionista del video, imprimendo il suo marchio di fabbrica al principale evento catodico italiano, un marchio riconoscibile ma rispettoso della storia della rassegna, al contrario di quanto fecero alcuni suoi predecessori che vollero quasi snaturare il Festivalone, finendo con l'esserne "rigettati". 
CARLO E MARIA IN EQUILIBRIO - Ecco perché il creatore di "I migliori anni" può essere tranquillamente accostato al Baudo sanremese: del quale non ha il peso scenico, la presenza quasi ingombrante sul palco, ma come lui sa tenere saldamente in mano le redini di una struttura così elefantiaca, a partire dal lavoro preliminare di scelta dei brani fino alla concezione e alla traduzione in pratica dello spettacolo. Ed è di certo anche merito suo se la co - conduzione con Maria De Filippi è risultata assolutamente equilibrata, senza che nessuno dei due prevalesse sull'altro. Oltretutto la "primadonna" di Canale 5 ha avuto modo di conquistarsi i suoi spazi senza adeguarsi passivamente alle esigenze della kermesse, portando momenti "seri" in uno show leggero e glamour, momenti non forzati e un po' retorici come, ad esempio, era capitato nell'ultimo Sanremo di Fazio, ma assolutamente in linea con le esigenze sociali del momento: ecco quindi i Vigili del Fuoco, loro malgrado protagonisti in queste ultime settimane di sciagure naturali, e i due ragazzini promotori di una campagna contro bullismo e cyberbullismo, a cui si è unita la giornalista Sky Diletta Leotta con un intervento centratissimo, che pure ha suscitato, come ho appena letto, sciocche critiche sui social, oltretutto da parte di altre colleghe del mondo dello showbiz. Critiche che dimostrano come in questo campo ci sia molto ancora da fare, e come dunque non sia mai sprecato il tempo dedicato alla sensibilizzazione su certi temi. 
BENE MANNOIA E META - Sulle canzoni in gara poco da dire, al momento, perché scrivo di getto e almeno un secondo ascolto è necessario. Dicevo in apertura di Fiorella Mannoia: il suo ritorno sul palco mi ricorda tanto quello di Roberto Vecchioni sei anni fa. "Che sia benedetta" pare avere la stessa intensità di "Chiamami ancora amore", è un pezzo sentito e in crescendo che difficilmente mancherà il bersaglio grosso, ma sul piano qualitativo non è molto distante "Vietato morire" di Ermal Meta, fedelissimo al suo stile e capace di rendere al meglio un testo di grande peso. Molto in linea con la classica tradizione sanremese le canzoni di Fabrizio Moro e soprattutto Elodie, che farà strada grazie a un ritornello old style di grande impatto. E in una veste sorprendentemente classicheggiante si è presentata anche Lodovica Comello, con un pezzo che ha ricordato certe proposte festivaliere al femminile degli anni Novanta. 
PERFORMANCE PRECARIE - Il sorriso stirato della brava showgirl ne tradiva l'emozione, sfociata poi in un'esibizione non impeccabile, come anche quella di Giusy Ferreri, che ha lanciato un brano di grandissima efficacia radiofonica, orecchiabilissimo, ma che ha pagato la sua titubante performance col momentaneo declassamento nel gironcino eliminatorio. Sorte che non è invece toccata ad Al Bano, frenato da una vocalità lontana da quella dei tempi belli, per motivi che non si fa fatica ad immaginare; ma senza la sua possanza interpretativa la canzone perde molto, non ha guizzi di novità né grandi slanci, e del resto è impossibile aspettarli da un tradizionalista come lui. Giusta promozione per la ritmata e moderna "Vedrai" di Samuel, altro pezzo destinato a lunga vita nelle playlist di radio e web, e tutto sommato pure per Alessio Bernabei, un po' uguale a se stesso, ma ha sposato una linea prettamente dance e la porta giustamente avanti con convinzione. 
FERRO, CONSOLI E MARTIN SUGLI SCUDI - Solo gli ospiti canori hanno rappresentato davvero un valore aggiunto. Si poteva fare tranquillamente a meno di intermezzi inutili come quelli di Raul Bova e Rocio Morales, del cestista e della pallavolista spilungoni, di Ubaldo Pantani nelle vesti di Bob Dylan e, financo, di Paola Cortellesi e Antonio Albanese, che potevano studiare qualcosa di più sostanzioso per promuovere il loro film. L'elzeviro di mezza sera di Crozza è parso un po' freddo e fuori contesto: diciamo che deve "carburare". Tiziano Ferro ha invece brillato sia da solo, nell'omaggio a Tenco, sia in coppia con Carmen Consoli ("Il conforto" è un'ottima canzone, e lo si sapeva): proprio impossibile vedere i due, un giorno, presentarsi all'Ariston come concorrenti? Carmen del resto lo ha già fatto e tutto sommato proprio male non le è andata, anche se non ha raccolto allori. Pollice in su anche per Ricky Martin, che si è ripresentato al pubblico italiano dopo tanto tempo con grande energia e una pazza voglia di donarsi senza riserve: lo ricordavamo così, noi che... eravamo giovani negli anni Novanta, e il tempo non lo ha cambiato. 
ERRORI GRAVI IN APERTURA - Alla fine, il peggio della prima serata di Sanremo 2017 è stato all'inizio: la carrellata di canzoni non vincenti che hanno avuto successo dopo il Festival era una buona idea, rovinata però da una confezione trascurata e superficiale: ho perso il conto degli errori nelle sovrimpressioni, che attribuivano ai vari evergreen piazzamenti in classifica errati o inesistenti. E sarebbe ora di finirla con questa storia del Vasco Rossi di "Vado al massimo" ultimo classificato nel 1982, visto che quell'anno vennero rese note solo le prime sei posizioni della graduatoria. Ci sono fior di libri dedicati alla storia del Festival che in Rai dovrebbero essere, credo, facilmente consultabili, per evitare figuracce senza troppa fatica. Una caduta di tono che l'ouverture di questa edizione non meritava. 

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