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domenica 11 febbraio 2018

LA FINALE DI SANREMO 2018: META E MORO ONORANO I PRONOSTICI, AI PIEDI DEL PODIO LE PROPOSTE PIU' "ALTE" DI UN FESTIVAL FUORI DELL'ORDINARIO



Non ci può essere sempre la sorpresona finale, il Gabbani che ha la meglio sulla Mannoia, come avvenne lo scorso anno. Questa volta, il Festivalone è rimasto allineato ai pronostici della vigilia, che davano l'inedito duo Ermal Meta-Fabrizio Moro favorito per il trionfo, seppur nell'ambito di una gara assai equilibrata, che proponeva molte candidature per il massimo traguardo. Del resto, a giudicare dalle indicazioni molto parziali sulle preferenze delle varie giurie che erano state fornite nelle sere precedenti, le tendenze erano quelle che poi hanno trovato espressione nella classifica definitiva, e il podio poteva essere tutto sommato prevedibile. Un podio che ha un'unica bizzarria: affiancando ai due cantautori la rivelazione Stato Sociale e l'ottima Annalisa, si è riavvicinato alla linea artistica della precedente gestione, quella targata Carlo Conti; in un Sanremo caratterizzato da una notevole presenza di proposte "alte", un tantino sofisticate, non di impatto immediato, le tre medaglie sono infine andate a tre portabandiera dell'easy listening, seppur non banale e declinato in forme diverse. 
LA RAFFINATEZZA A UN PASSO DAL PODIO - Non può destare scandalo, questa conclusione. E' certo comprensibile il rammarico di molti, letto ieri sui social, riguardo al trattamento riservato a Ron, al trio Vanoni-Bungaro-Pacifico, a Gazzè, a Barbarossa e a  Diodato-Paci, piazzatisi da quarto all'ottavo posto. Sul piano strettamente qualitativo, della pregevolezza nella scrittura e nell'arrangiamento, tutte avrebbero meritato di arrivare più in alto, e probabilmente così sarebbe stato se il giudizio fosse stato affidato unicamente a una giuria di esperti. Ma a Sanremo non funziona in questo modo, lo sappiamo da anni, quando entra in scena il televoto torna a prevalere la cosiddetta radiofonicità, e del resto penso che, anche con una votazione esclusivamente tecnica, effettuata da gente "del ramo", il primato di "Non mi avete fatto niente" non sarebbe stato scalfito. 
PRIMI NONOSTANTE TUTTO, MA IN FUTURO... - Il Festival numero 68 ha trovato dei vincitori tutto sommato degni.. Il loro brano unisce orecchiabilità a impegno civile, quest'ultimo espresso con un testo fatto di flash e immagini scarne, semplici, per arrivare dritto al cuore; e le due voci si compensano bene, la rabbia dolente di Meta e quella dirompente di Moro. L'incidente infrasettimanale, il caso legato alla "citazione" del refrain presa da una canzone del 2015, non ha lasciato il segno; rimane però l'amaro in bocca legato a tutta la vicenda. Ribadisco la mia opinione: sul piano, diciamo, "moral - concettuale", non riesco proprio a definirlo un pezzo "nuovo", quello premiato stanotte intorno all'una e mezza. Il regolamento, però, lasciava una via di uscita, nella parte in cui parla di "stralci campionati" di opere precedenti, stralci che non devono superare il terzo della durata della composizione in concorso. Quindi in punta di diritto è stato giusto così e ha fatto anche piacere, trattandosi di due artisti che godono al momento di grandissima popolarità e posseggono indubbio talento, ma è altresì evidente che, sul punto, le "tavole della legge" sanremesi non sono chiare quanto dovrebbero, e quindi dovranno essere riscritte e rese più esplicite e dettagliate, per evitare che in futuro si creino certi spiacevoli equivoci. 
STATO SOCIALE E KOLORS: LA RADIOFONICITA' - C'era chi credeva in un exploit in extremis degli Stato Sociale, ma senza dubbio sono loro "gli altri" vincitori della kermesse, e  vanno a raccogliere di fatto il testimone di Elio e le Storie Tese, i quali, per una curiosa combinazione di fattori, hanno chiuso la loro parabola con quell'ultimo posto agognato da tempo. La band bolognese ha canoni espressivi diversi, più diretti, rispetto alle giravolte linguistiche degli Elii: sta di fatto che hanno sfornato uno di quei tormentoni di cui Sanremo non può fare a meno, per rimanere nell'immaginario collettivo; verosimilmente faranno loro compagnia, nei piani alti delle classifiche di vendita e download, quei Kolors penalizzati da un nono posto che non valorizza la freschezza e la buona costruzione di "Frida".
Meritato il bronzo per Annalisa, che aveva un po' smarrito la... retta via in occasione della sua ultima partecipazione, nel 2016, con una "Diluvio universale" forse troppo pretenziosa e al contempo eccessivamente classica nell'impostazione. In "Il mondo prima di te" ha ritrovato il giusto equilibrio fra tradizione e contemporaneità  che ne aveva decretato il successo di qualche anno fa, sfoderando nel contempo una verve interpretativa  in cui ha abbinato perizia tecnica a intensità emotiva. 
NESSUNA CANZONE VERAMENTE "BRUTTA" - In linea di massima, non riesco a trovare, fra le venti dei Campioni, una canzone veramente scadente. Ce ne sono due o tre di non eccezionale levatura, questo sì: le proposte di Caccamo e del duo Facchinetti-Fogli, per quanto ben strutturate, scivolano via senza lasciare il segno; quella presentata da Noemi non è male, ma non porta nessun valore aggiunto alla carriera della "rossa", che avrebbe invece avuto bisogno di un nuovo slancio in grado di valorizzarne le sempre intatte capacità vocali e sceniche. Per il resto, non posso che promuovere il tenore qualitativo della selezione operata da Baglioni. 
CONTI E BAGLIONI: FILOSOFIE DIVERSE MA VINCENTI - Dopo tre edizioni in cui Conti ha puntato massicciamente sull'immediatezza delle canzoni (ed ha realizzato tre ottimi Festival, lo scrissi negli anni scorsi e lo ribadisco), il suo successore ha optato per una linea artistica più coraggiosa e variegata: salvata comunque una quota di brani dalla notevole forza commerciale, si è puntato con più decisione sul pregio autoriale delle opere. Due filosofie diverse, semplicemente, e va detto che la scelta dell'anchorman toscano era stata perfettamente giustificabile da quel momento storico: occorreva creare dei Sanremo che incidessero sul mercato discografico nostrano, andando in particolare incontro ai gusti del pubblico più giovane che, altrimenti, avrebbe potuto voltare le spalle alla manifestazione. L'obiettivo è stato indubbiamente centrato, e così Claudio ha potuto muoversi con maggiore libertà, fornendo una rappresentanza più vasta di territori musicali. 
DA GAZZE' A DIODATO: CI RICORDEREMO DI LORO - E dunque, non è il caso di dare troppo peso alla graduatoria finale, che in Riviera conta sì, ma fino a un certo punto: perché in pochi, fra qualche anno, ricorderanno che Ron è arrivato quarto e la Vanoni quinta, ma in molti, scommetto, terranno a lungo nel cuore le loro proposte, la delicata poesia targata Dalla, la raffinatezza compositiva che Bungaro e Pacifico hanno messo a disposizione della voce sempre calda di Ornella; così come non dimenticheremo il favolistico Gazzè, un Barbarossa che ha dato nuova linfa al folk romanesco, il crescendo emozionale del duo Diodato-Paci. Peccato, casomai, per il diciassettesimo posto di Nina Zilli, finalmente convincente con una melodia tipicamente sanremese ma impreziosita da un bel testo "al femminile". 
PAUSINI: NUOVO PRIMATO - La serata finale è filata via con un ritmo piacevolmente sorprendente, visti i precedenti: le canzoni in concorso si sono susseguite senza eccessivi tempi morti. All'inizio, qualche lieve imperfezione tecnica "on stage" e persino disturbi sul collegamento tv, cosa quest'ultima che, a memoria, non accadeva dai primi anni Ottanta... Poi tutto si è aggiustato e i cantanti in gara hanno dato fondo alle loro energie. Laura Pausini, guarita a tempo di record e benevolmente presa in giro via telefono da Fiorello, ha trovato il modo di aggiungere un altro primato alla sua carriera: durante l'esecuzione di "Come se non fosse stato mai amore", è uscita dal teatro e ha continuato a cantare al cospetto delle tante persone che, tradizionalmente, sostano davanti all'Ariston per tutta la durata dell'evento; mai nessuno prima di lei aveva... osato tanto. 
FAVINO SUGLI SCUDI - Da dieci e lode lo stupendo monologo di Pierfrancesco Favino dedicato all'esperienza dei migranti, perfettamente fusosi con "Mio fratello che guardi il mondo", interpretata con trasporto da Fiorella Mannoia e da Baglioni. Un momento intenso e commovente, come lo era stato anche, ventiquattr'ore prima, il messaggio di Milva letto sul palco dalla figlia della grandissima cantante, insignita a furor di popolo col premio alla carriera. Due picchi emozionali in un Sanremo 2018 in cui, va rilevato, si è cantato per la quasi totalità del tempo, lasciando pochissimo spazio al "contorno". Sembrerebbe un'ovvietà, ma su quel palco spesso è avvenuto il contrario. Ieri sera, poi, nessuna intrusione "extra", a parte la citata, graditissima performance di Favino. Certo, il cast è stato nel complesso di prim'ordine, contando anche gli ospiti italiani e le tante parentesi canterine del direttore artistico, ma il succo del discorso è che uno show quasi esclusivamente musicale può ancora fare breccia nel "cuore di pietra" delle famiglie Auditel. 
E' RIPROPONIBILE IL FORMAT BAGLIONI? - Ci sarà un Baglioni bis? Non so se auspicarlo o meno: per come è stato strutturato, per la presenza eccezionale di un cantautore che, almeno a livello televisivo, non è certo un prezzemolino, questo Festival numero 68 ha avuto tanto il sapore di un unicum nella quasi settantennale storia della kermesse. Un Sanremo concepito in maniera inedita, non più "messa cantata" in stile baudiano o contiano, ma comunque capace di salvaguardare una buona parte della sua liturgia riuscendo però a declinarla con schemi di spettacolo a tratti spiazzanti. Di un'altra edizione così ci sarebbe forse bisogno, ma per un tale format Baglioni dovrebbe trovare nuovi interpreti e una chiave di lettura diversa rispetto a quella appena proposta. Non è facile e si rischierebbe l'effetto minestra riscaldata. Vedremo.

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